Il 17 agosto 1893 furono trucidati ad Aigues Mortes, in Francia, circa cento lavoratori stagionali italiani, provenienti per lo più dalle Langhe e dal Monferrato piemontese.

 

Il Corriere d'Italia ne ricostruisce la storia
A partire dal 1890, le zone viticole dell'Italia del nord, in particolare quelle piemontesi del Monferrato, vivevano una crisi che non si era mai vista a memoria d'uomo. 

Il prezzo del vino era crollato, in più si erano molto diffuse malattie come fillossera, iodio, peronospora. 

Di conseguenza erano crollati anche i prezzi di grano, canapa, bozzoli per la seta. Per l'uva da vino, in particolare, l'esportazione verso la Francia era chiusa a causa della poltica antifrancese del governo di Roma. 
La Francia era sempre stata il ricettacolo dell'offerta di vino dalle Langhe e del Monferrato; vino che serviva a tagliare il Bordeaux locale, altrimenti troppo fiacco. Essendo chiusa alla esportazione la frontiera francese, la situazione della gente diventava sempre più precaria. 

I padri di famiglia erano costretti ai cosiddetti contratti di schiavanza presso le famiglie più ricche, oppure si trasferivano da un paese all'altro come avventizi o servi di campagna. 


Emigrazione illegale
In quegli anni crebbe molto l'emigrazione, per lo più illegale, dal Monferrato verso la Francia, dove la manovalanza di campagna spuntava prezzi migliori. Lo testimonia una circolare del Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, datata settembre 1889. 

 

"Si rinnova l'inconveniente che molti individui ancora soggetti ad obblighi militari, muniti di solo passaporto per l'interno, si recano all'estero, ed in specie in Francia. Quivi molte volte accade di non essere occupati in alcun proficuo lavoro e, se non sono provvisti di mezzi propri per campare, non sanno più come trarre innanzi la vita".  

Le saline di Perrier et Peccais
Furono proprio operai agricoli del Monferrato che trovarono lavoro nelle saline di Perrier e Peccais, nei pressi di Aigues Mortes, una cittadina di allora 4000 anime nella Francia meridionale alle bocche del Rodano. 

L'estrazione del sale, che si svolgeva in zona paludosa, era stato fino ad allora un lavoro riservato ai galeotti, o a condannati che riuscivano a commutare il viaggio nelle stazioni penali della Guyana. 
Ma proprio in quell'anno 1893, la Compagnia delle Saline Perrier et Peccais aveva deciso di assumere operai sul libero mercato. 

Gli italiani erano preferiti perché lavoravano ad un salario molto più basso, non facevano storie sindacali, erano riverenti verso l'autorità. 

Ne furono assunti circa seicento, mentre altri 150 furono assunti tra i residenti francesi (che si presentarono in circa 800 ai banchi di assunzione). 
Sui difficili rapporti tra italiani e francesi, riportiamo la testimonianza dello storico Renato Paris (dal volume L'Italia fuori dall'Italia): 

 

"Le relazioni non erano mai state buone. I francesi avevano sempre qualcosa da rimproverare agli italiani. 

Tutti ladri e puttane, fannulloni, mangiapane a tradimento. (.). 


Per la verità gli italiani avevano altri problemi: il lavoro, la casa, il mangiare, i familiari rimasti in Italia. 

Non si arrabbiavano quando i francesi cominciavano a chiamarli ,Ritals', ,Briseur', ,Macaronis'; continuavano a rispondere "Ui mossié" e a chinare il capo". 


Il 15 agosto 1893
La situazione si fece tuttavia più tesa la mattina del 15 agosto. 

Riportiamo una testimonianza dal volume di Guccini a Machiavelli: Macaronì, romanzo di santi e delinquenti: 

 

"Cominciò proprio dalle saline di Paccais durante la pausa del mattino: gli operai francesi e italiani mangiavano in silenzio la zuppa, sistemati alla meglio sul bordo delle paludi. 
Per gioco, o forse per sfregio, un francese gettò della sabbia sul pane di un torinese che mangiava dinnanzi a lui. 

Il torinese non protestò. 

Pulì il pane con un fazzoletto che poi andò a lavare alla bacinella di acqua dolce che la Compagnia distribuiva esclusivamente per uso potabile. 
L'acqua dolce era preziosa, soprattutto nei mesi estivi. 

'Eh, Macaronì! -gli gridò il francese, gli altri suoi compatrioti ridevano- lo sai o no che con quell'acqua ci dobbiamo arrivare a sera? 

Se vuoi lavare il fazzoletto, pisciaci sopra, che tanto per un italiano come te è lo stesso!' 

A quel punto il torinese estrasse un coltello e lo agitò sotto il naso del francese: 'Merde! 

Io me ne fotto di te e di tutti i francesi!'"


L'episodio sembrava finito lì. 

 

La giornata seguente del 16 agosto fu tranquilla, secondo la maggioranza delle fonti. 

Solo il Times di Londra denuncia, per il 16 agosto, due morti francesi, ma non ne scrive il nome. 

Con ogni probabilità si tratta di un tentativo di depistaggio messo in opera dalle autorità comunali di Aigues Mortes per giustificare quello che accadde dopo, almeno così interpreta Renato Paris. 


Il 17 agosto 1893
La mattina del 17 agosto oltre 500 francesi inferociti attaccarono i capanni che ospitavano un centinaio di italiani. 

Cominciò una colossale caccia all'uomo al grido di "A morte gli italiani". 

Una folla inferocita, armata di scalpelli, di martelli, di pietre, di bastoni e forconi diede l'assalto agli improvvisati rifugi dei nostri connazionali, scoperchiando i tetti, massacrando chi si trovava lì. 
Intervenne la forza pubblica (18 gendarmi) che cercò di scortare gli italiani alla stazione, ma il gruppo venne circondato, partirono colpi di arma da fuoco. 

Alcuni, una ventina, cercarono di salvarsi gettandosi nella palude, ma vennero presi a colpi di pietra dalla folla, fino a quando morirono tutti, a parte un certo Antonio Cappellini, che riuscì a riparare a Marsiglia. 
Otto ospedali della regione (quasi tutti) rifiutarono di accogliere i feriti. 


I morti delle saline
Alla fine della giornata, i morti ammontavano a circa un centinaio (il Times riporta "circa 50", ma Il dizionario di Storia, ed. Il Saggiatore, parla di quattrocento). 

I fatti di Aigues Mortes ebbero ripercussioni pesanti in Italia: resero più aggressive le contestazioni che i gruppi nazionalistici facevano al governo, guidato da Giovanni Giolitti, che cercò di cavarsela come sempre minimizzando. 
Alla fine di una inchiesta, fatta all'acqua di rose, vennero identificati sei "sobillatori", che saranno chiamati a pene fino a sei mesi di reclusione. 

Da uno a sei mesi di reclusione in cambio di cento morti. 

Questo il bilancio finale della cosiddetta "strage delle Acque Morte".